✠ 18 marzo 1314 ✠
Dopo sette anni di carcere, il 18 marzo 1314 Jacques de Molay compare di fronte a un tribunale favorevole al re di Francia insieme ad altri tre grandi dignitari dell’Ordine: l’Ispettore Generale di Francia e i Precettori di Aquitania e di Normandia.
La vicenda processuale pare chiusa: i quattro sono condannati alla prigione a vita. Ma, al momento della lettura della condanna, il Gran Maestro de Molay ed il Precettore di Normandia, Geoffrey de Charnay, si ribellano alla sentenza e ritrattano la confessione che gli era stata estorta con la tortura. Re Filippo il Bello, allora, ordina la morte immediata dei due. Lo stesso giorno Jacques de Molay e Goeffrey de Charney vengono arsi visi sull’isola dei Giudei, sulla Senna, non lontano da Notre Dame. Il Gran Maestro ed il Precettore di Normandia affrontano il supplizio del fuoco con un coraggio e una determinazione che stupiscono i testimoni dell’evento.
La soppressione dell’Ordine fu vista da tanti testimoni illustri dell’epoca come una grande ingiustizia che contrappose all’atrocità della tortura e alla falsità delle accuse la virtù dimostrata davanti alla morte dai Cavalieri del Tempio ai quali fu riservata, in un misto di ammirazione e commozione, quasi un’aurea di martirio e santità, tanto che un cronista fiorentino del XIV secolo, tale Giovanni Villani, raccontò che “dopo il rogo sull’isola della Senna, le ceneri e le ossa dei Templari furono raccolte da alcune persone religiose e devote, e considerate come reliquie”.
Goffredo di Parigi, in Chronique métrique de Philippe le Bel, afferma:
“[…] Il Maestro, quando vide il fuoco acceso, si spogliò senza esitazioni, Riferisco come lo vidi. Egli si tolse gli indumenti, esclusa la camicia, lentamente e con aspetto tranquillo, senza affatto tremare, sebbene lo spingessero e lo scuotessero molto. Lo presero per assicurarlo al palo e gli legarono le mani con una corda, ma egli disse ai suoi carnefici: <<Almeno, lasciatemi congiungere un po’ le mani e dire a Dio la mia preghiera, poiché questo ne è il momento, essendo in punto di morte; e Dio sa, ingiustamente. Ma accadranno ben presto disgrazie a coloro che ci condannano senza giustizia. Dio vendicherà la nostra morte; muoio con questa convinzione. Quanto a voi, Signore, rivolgetemi la faccia, vi prego, verso la Vergine Maria, Madre di Gesù Cristo (la Cattedrale di Notre Dame de Paris)>>. Gli fu concessa questa grazia e la morte lo prese così dolcemente, in questo atteggiamento, che ognuno ne restò meravigliato”.
G. Boccaccio nel “De casisbus virorum illustrium” (“La caduta degli uomini illustri”) riporta le parole del padre che si trovava a Parigi durante i tragici fatti del 1314:
“[…] (I Templari) lungamente essendo stati in ferri e in prigione, ed essendo incolpati di molti vizi e vergognose scelleratezze sempre negarono tutto. Invano si cercò di persuaderli a confessare per il loro bene alcune delle cose che erano loro opposte; anzi continuamente dicevano che, se fosse loro dato un giusto giudice, essi s’impegnavano a provare tutto il contrario di quello cui erano accusati. La onde il re, mosso a ira, comandò che con i tormenti si strappasse loro quella confessione che con le lusinghe non s’era potuto. Ma a nulla servendo la rottura, furono portati, eccetto il maestro e tre altri compagni, a essere bruciati se fossero rimasti fermi nell’ostinazione di non voler confessare i delitti […] Essendo per ordine del re legati uno per uno a un palo e cinti d’ogni interno di legna, e innanzi ai loro occhi stando il fuoco e i carnefici, per quanto dalla voce dell’araldo fosse promesso che, se confermavano le cose a loro opposte, avrebbero salva la vita e restituita la libertà, non fu alcuno di loro che volesse, lasciandosi persuadere dalle lacrime e dalle preghiere degli amici e dei congiunti, cedere all’irato re e salvare, confessando, la vita […] Onde, avendo quelli più volte tutti d’accordo confermato ciò che tante volte avevano detto, alla fine i tormentatori a uno a uno strapparono col fuoco le unghie dei piedi e poi lentamente per tutto il corpo pian piano li abbruciavano. Il qual tormento con quanto dolore dagl’infelici fosse sopportato, ne facevano fede agli astanti le loro urla terribili; né altro dicevano eccetto che erano veri cristiani e che la loro “religione” era stata ed era santissima. Così lasciarono consumare i tormentati corpi fino all’ultimo respiro, né alcuno di quelli fu che per il tormento si lasciasse vincere né rimuovere dal suo proposito […]”.
Il Gran Maestro fu condannato al rogo all’insaputa del Papa che, anzi, si trovava malato nel suo letto, nel quale morì dopo circa un mese da questi tragici fatti. Il rogo fu il tragico epilogo di un processo farsa durato sette anni (dal 1307 al 1314), un processo che rappresentava in realtà una guerra contro l’autorità del papato (che stava attraversando la difficile fase della c.d. cattività avignonese).
Papa Clemente V fu debole di fronte al Re di Francia, non riuscì a salvare l’Ordine (che sospese con atto amministrativo) ma ha comunque assolto il Gran Maestro De Molay e i Cavalieri Templari, come è emerso dalla Pergamena di Chinon ritrovata negli archivi vaticani. Nell’estate del 1308, infatti, Papa Clemente V inviò in gran segreto 3 suoi fedeli cardinali a Chinon, la fortezza reale ove il Gran Maestro e gli alti Dignitari dell’Ordine erano tenuti prigionieri per impedire loro di incontrare il Papa. Qui i delegati del Papa, tra il 17 ed il 20 agosto 1308, ascoltarono la confessione dei reclusi, i quali furono assolti, ricevettero i sacramenti e, pertanto, furono riconciliati nella comunità cristiana.
I fatti di Chinon, per quanto di grande importanza perché riaffermarono sul piano teorico l’autorità pontificia sui Cavalieri del Tempio e ne sancì la loro assoluzione, non valsero ad evitare il rogo del 18 marzo 1314.
Cav. Giuseppe Calopresti
Foto:
– Lapide commemorativa della morte di Jacques de Molay presso il Pont Neuf a Parigi;
– Gran Maestro Jacques de Molay
– Morte dei Templari Geoffrey de Charnay e Jacques de Molay (Miniatura conservata alla British Librar);
– G. Boccaccio.




